venerdì 25 aprile 2014

La storia infinita - Michael Ende

La storia infinita, journal.

Non avevo mai letto La storia infinita, complice un film visto troppe volte da piccolo ed una riduzione di pessima qualità con tante foto che mi era stata regalata, che trovavo già orrenda a 7 anni, figuriamoci ora.

In realtà il romanzo di Ende ha ben poco a che vedere col film, a parte il titolo e qualche vaga rassomiglianza. La storia è più complessa, più ricca di significati e di simbolismi.

È più profondo.

Tutto in La storia infinita si basa sulla ciclicità. AURIN, i due serpenti che si divorano a vicenda. Fantàsia che ciclicamente si distrugge per ricrearsi grazie alle storie di un essere umano. Il grande bosco notturno che ogni giorno si polverizza permettendo al deserto multicolore di prenderne il posto, ciclicamente. Ogni forma di distruzione viene vista con terrore da ogni creatura ingenua, ma come una necessità da ogni creatura più saggia o evoluta.

Allo stesso modo viene trattato il male. Non esistono male e bene assoluti, ma sono una necessità uno per l'altro. Il male viene accettato come parte della fantasia e di ogni storia. L'infanta non considera diversamente le creature di natura buona o malvagia, così come non vengono discriminati i desideri di chi porta AURIN.

È una filosofia che ho visto molto di rado nei libri fantasy, in cui tutto si gioca su un dualismo molto netto e preciso tra ciò che è bene e ciò che e male, facendo spesso di questa linea di divisione il motore della storia, decidendo quali sono i personaggi con cui far empatizzare il lettore e quali fargli temere.

In La storia infinita, Bastiano passa da ogni punto dello spettro, da bambino spaventato, ad eroe buono, fino a creatura oscura, egoista, prepotente e corrotta dal potere, perché anche quello fa parte della sua crescita. Bastian entra in contatto con il suo doppio (Atreyu) al di là dello specchio, diventa simile a lui, ma non possono vivere dallo stesso lato senza scontrarsi.

Tu, was du willst

martedì 22 aprile 2014

Una peccatrice - Giovanni Verga

Non sono un fan di Verga, ma ogni tanto ti capita in mano un libro e non puoi fare a meno di leggerlo, per qualche ragione.

La storia di Una peccatrice è classica e semplice, Pietro si innamora di Narcisa, Narcisa non lo vuole, è sposata, lo rifiuta sdegnosamente. Pietro scrive un dramma dal successo esplosivo, Narcisa lo vuole. Pietro smette di amarla, Narcisa si uccide, lui diventa mediocre senza ispirazione.

Ora, non ci sarebbe niente di male in questa storia, i personaggi sono scolpiti molto bene nel primo terzo di libro (compreso un amico di Pietro col suo ruolo, seppur sparisca senza preavviso ad un certo punto), ognuno con le sue passioni, fissazioni, famiglie. Ma Verga (avevo dimenticato) ha un terribile feticcio per "i vinti", quindi anche se i brani di storia positiva, di evoluzione dei personaggi, di crescita, sono spigliati, piacevoli, scritti in maniera incredibile, tutto si dimentica alle 5 pagine di precisa descrizione della depressione, lacrime e angoscia di vivere, descritte in ogni scricchiolio del pavimento o ronzare di mosca, che a saperlo fare bene magari si diventa maestri di genere, ma in questo caso è solo sofferenza per il lettore...

Lo stile vorrebbe essere impersonale, e ci riesce quasi fino alla fine, ma poi no, Verga crolla. "Non posso descrivere abbastanza bene le sofferenze, con questa prosa impersonale!" ed ecco arrivare una lettera lunga un terzo dell'intero romanzo in cui Narcisa in prima persona ed in maniera oscenamente poco realistica per una lettera, spiega quanto soffra perché Pietro si allontana da lei e descrive in ogni dettaglio (che neanche le amiche in un flick chick l'avrebbero tollerata) cosa è successo, l'inflessione della sua voce, come abbia voluto uscire di casa quel giorno e delle ragioni nascoste per cui forse ha voluto uscire.

Le opere giovanili forse le chiamano così per una ragione, dovrebbero avere il bollino rosso con le indicazioni d'uso!

domenica 20 aprile 2014

Jules e Jim - Henri-Pierre Roché

Jules e Jim, journal.

Jules e Jim è un romanzo complicato da leggere e complicato da seguire dall'esterno.

La storia la conoscevo dal film di Truffaut, ma l'esperienza è completamente diversa, anche se le linee di base sono le stesse. Un triangolo amoroso, seppur in un modo più delicato di quanto si intenda ora, tra Jules (Franz Hessel), Jim (Roché) e Kathe (Helen Grund).

Lo stile è incredibilmente minimale e sconnesso, ma non in maniera sgradevole; è una parte fondamentale del racconto, che serve a rendere alla perfezione gli stimoli che muovono i personaggi, quel che provano, come si sentono. Più sono sconnesse e caotiche le loro azioni, più lo diventa lo stile narrativo.

Si sente molto l'età avanzata di Roché, al suo esordio, che gli permette di restare più distaccato dalle vicende.
I protagonisti agiscono in maniera a volte egoista, a volte cattiva, a volte irresponsabile, ma non c'è mai un giudizio nel racconto, non ci sono mai critiche o recriminazioni. Spesso mi accorgevo di vedere come "cattivo" o come "vittima" dei personaggi, ma era solo una mia costruzione del momento, che evaporava rapidamente.

Lo stile di Roché è così incredibilmente asciutto e distaccato da farci vedere tutto quel che succede dall'esterno, lasciandoci coinvolgere quanto vogliamo e nel ruolo di chi preferiamo o sentiamo più affine. È raro che davvero non esista o non si senta un punto di vista preferenziale!

lunedì 14 aprile 2014

La stanza delle meraviglie, Brian Selznick

La Stanza delle Meraviglie è un libro per bambini che suggerirei a tutti gli adulti.

Il tema è sensibile, parla della sordità e di come un bambino può affrontarla, come vede il mondo e come può interagire con le altre persone.

Ben ha perso la madre ed ora vive con i suoi zii. A causa di un fulmine perde l'udito e si sente sempre più isolato; mentre è in ospedale decide di partire per New York alla sua ricerca, sperando di trovare ancora una traccia da seguire dopo così tanti anni. Questa storia ci viene raccontata.

Ci viene invece narrata per immagini una storia parallela, simile ma diversa in maniera sottile. La storia di Rose, ambientata cinquana anni prima. Rose è anche lei sorda, e fugge verso New York alla ricerca della madre, una stella del teatro, di cui sente la mancanza. Le due storie si uniscono in un finale non del tutto imprevisto, ma che nulla toglie al piacere della lettura.

Ho trovato incredibilmente elegante la simmetria tra queste due storie, sia dove procedevano in parallelo, sia dove divergevano, mettendo in risalto le differenze molto più che a raccontarle semplicemente.

È impressionante e ben studiata la narrazione per immagini, c'è un grande silenzio nei disegni a matita che ci raccontano di Rose. Sentiamo esattamente quello che sente Rose, quello che sperimenta del mondo, cosa la spaventa perché non ha modo di capire.
Le scene sono incredibilmente cinematografiche, zoomano lentamente o ci mostrano proprio il dettaglio necessario a creare una certa atmosfera. Non per nulla uno dei temi trattati è l'introduzione del sonoro nei cinema, che ha portato ad un maggior isolamento delle comunità di non udenti.

Nelle recensioni che ho letto di La Stanza delle Meraviglie viene paragonato a Hugo Cabret, e perde sempre, al confronto. Questo vuol dire che dovrò assolutamente leggere altri libri di Brian Selznick.
(Tranne nel Paese dei Mostri Selvaggi, lo strazio del film mi rende diffidente, anche se sono consapevole che non si può imputare ad uno scrittore uno scempio in pellicola...)

domenica 13 aprile 2014

L'affare streghe - Michael Molloy

L'affare streghe, journal.

Un libro abbastanza deludente. Scrivere per i bambini è difficile, serve un equilibro tra ciò che incuriosisce ed una serietà di fondo.
L'affare streghe sembra essere costruito con l'idea "tutto ciò che è stravagante piacerà ai bambini e ce lo metto". Penso sia un approccio semplicistico.

Nel mondo si nascondono tre grandi ordini di streghe, del mare, dell'aria e della notte. Quelle della notte sono cattive, quelle dell'aria sono buone, e per completare il classico dualismo bene-male, quelle del mare sono i fattorini delle streghe della luce. (No, non ha senso).
Molloy tratta come passato remoto e immutabile un evento topico nel mondo delle streghe del mare, il rapimento di tutti i loro bambini, che è avvenuto tipo 4-5 anni prima, che anziché spingere le streghe del mare e riprenderseli, li ha fatti diventare pacifici isolani menefreghisti, ed indirettamente causando un declino inspiegabilmente rapido di tutta la società delle streghe della luce, senza l'approvvigionamento di polvere di ghiaccio, la benzina delle loro magie.

La storia vera, al di là dell'ambientazione Sbagliata, è un misto di mitologia atlantidea, con uno spruzzo di esoterismo, di creature mitologiche e di personaggi letterari rubacchiati qua e là senza connessione. Tutto mai spiegato, mai coerente, mai armonioso.

Roald Dahl caratterizza meglio una intera terrificante società segreta di streghe in due paragrafi di quanto Molloy riesca a fare in 300 libri di piani malvagi.
Deve essere il potere di avere 20 anni di connessioni in campo letterario, che aiutano a far vendere il nome, più che il romanzo in sé.

mercoledì 9 aprile 2014

Verso le stelle - Joe Haldeman

Urania 1582, Maggio 2012

Il pianeta madre degli Altri, i misteriosi alien infiltrati nel Sistema solare, si annida a sei anni e mezzo di viaggio dalla Terra, ed è lì che arriva la prima spedizione mandata a investigare. Sopravvissuti a un incidente spettacolare, gli esploratori scoprono che forse è possibile un'intesa fra le due razze, ma quando l'astronave torna sul nostro pianeta, gli umori dell'umanità sono cambiati. Una flotta è già pronta a portare la guerra contro gli Altri, un conflitto che avrà conseguenze disastrose...

Un titolo più appropriato sarebbe "Disturbati ninfomani nello Spazio".
Mi immagino il processo creativo. Dopo aver visto il Tila Tequila Show, Haldeman deve aver pensato "ehi, sarebbe divertente se mettessimo in una nave per diversi anni, due alieni, una ninfomane con due mariti e due coppie con problemi per vedere in quanti modi riusciamo a farli accoppiare! Ci scrivero' un libro e lo spaccero' per capolavoro".
Poi ha aggiunto dettagli come una trama che non si regge neppure casualmente in piedi. Alieni da lontano che creano una razza artificiale per controllare gli umani nel loro sviluppo, ed al momento opportuno distruggerli. Perche'?
Marziani che succhiano energia gratis da una dimensione parallela, ma non sanno come (suona familiare?).
Militari con passati tragici, militari con passati oscuri, civili con traumi infantili, messi in questa scatola nello spazio per contattare gli alieni cattivi e spiegare che siamo innocui. Chiunque li abbia scelti per la missione non ha neppure letto il loro dossier. Ma in fondo e' solo "una missione costata piu' della seconda guerra mondiale", a che pro affidarla a dei soggetti selezionati?

Il libro si concentra pero' sulle prodezze sessuali dei protagonisti, gli scambi, le tentazioni, i pensieri. Tutto fatto in maniera un po' rozza, volgare e troppo esplicita per la fantascienza pulita a cui siamo abituati.
Dopo tre quarti di romanzo passati senza eventi rilevanti nello spazio, tutta la trama si concentra in pochi capitoli in cui finalmente succedono delle cose, se ne spiegano delle altre, e sembra che l'autore voglia ad ogni costo chiudere il romanzo, avendo esaurito le combinazioni umano-marziano-altro da far accoppiare.
Sarebbe stato un ottimo soggetto, con la giusta quantita' di contenuti per un racconto, se si fosse limitato alle prime 10 e alle ultime 30 pagine.
Non si giustificano le 2 ore passate a leggere, perche' non posso fare a meno di confrontare Oltre le Stelle con I Robot dell'Alba in cui Asimov si focalizza sui costumi sessuali di una colonia, analizzandoli e studiandoli nei dettagli, senza mai scendere nel morboso e nel disturbante (come Haldeman invece fa con gioia), ma soprattutto inquadrandoli all'interno di una vera storia!

Dovrebbe essere il capitolo conclusivo della saga di Dula di Marte, ma se ci tenete ad averne un buon ricordo od una buona opinione, fingete che non esista.

martedì 8 aprile 2014

L'eleganza del riccio - Muriel Barbery

L'eleganza del riccio è stato un "caso editoriale" (mi sta antipatica questa espressione, è abusata, ma questo lo era davvero), di cui ho sentito parlare in due modi ben distinti: una rivelazione, stupendo; oppure pretenzioso e sopravvalutato.

Mi unisco con piacere alla prima interpretazione, positiva, dopo averlo letto senza interruzione in una sola notte, non mi capita spesso.

Il libro parla dell'intelligenza.
L'intelligenza giovane ed immatura di Paloma, che sta imparando a tenerla nascosta per non far spaventare le persone attorno a lei.
L'intelligenza già nascosta di Renée, che ha strutturato la sua vita attorno al riuscire a sviluppare le sue passioni non socialmente accettabili tenendole ben nascoste.
L'intelligenza matura e senza inibizioni di Kakuro Ozu, che ha imparato a gestire senza inibizioni i suoi rapporti umani, riconoscendo le persone simili a lui ed avvicinandole senza preoccuparsi delle conseguenze.

È una crescita ideale, tre stadi di sviluppo mostrati da tre personaggi diversi, che si scoprono ed iniziano a frequentarsi in maniera naturale.

Paloma ha come sviluppo naturale l'imparare a frequentare le persone giuste che le permettano di esprimersi, pur mantenendo le barriere con il resto del mondo.

La maturazione di Renée che si accetta e si "eleva" frequentando Kakuro, invece, portano alla quasi inevitabile morte del suo personaggio, ormai cambiato e aperto al mondo ,per chiudere la metafora.

Certo, i personaggi non sono neanche vagamente realistici, e c'è un'ombra di stereotipo che pervadere il "come vorrebbero essere", ma voglio pensare che sia intenzionale.
Paloma e Renée sono esagerate sotto ogni punto di vista, ma rappresentano bene due grandi classi di persone intelligenti che troveranno una grande vicinanza di pensiero con loro (e due grandi classi di persone stupide che fingeranno di trovare una grande vicinanza di pensiero dopo non aver finito di leggere il libro, pur di non essere etichettate come stupide).

Nota sull'autrice: la Barbery è esagerata, esibizionista e pretenziosa nel non lasciar passare neppure una pagina senza far notare "quanto so" "quanto so" "quanto so". Se non avesse scritto un libro così ben architettato e leggibile, avrebbe tutta la mia antipatia!

lunedì 7 aprile 2014

Ossa della terra - Michael Swanwick

Urania 1467, 4 Giugno 2003
Urania 1605, Marzo 2014

Il sogno degli archeologi è visitare il passato. Esserci per vedere di persona. Ma attenzione: per non commettere imprudenze bisogna seguire regole scrupolose. Soprattutto, è indispensabile "Non Fare Niente Che Possa Creare una Contraddizione". Richard Leyster si occupa di dinosauri e il suo mondo naturale è il Mesozoico, ma quando gli viene offerta l'impensabile opportunità di andarci, si imbatterà in una forma di vita molto più misteriosa del previsto, e negli scopi poco chiari di gente disposta a tutto...

Richard Leyster è un archeologo, un luminare che sta dedicandosi allo studio di uno dei più promettenti siti di scavo mai venuti alla luce. Nel suo ufficio si presenta Griffin, con un'offerta di lavoro ed un contenitore come unico incentivo ad accettare. La testa di Stegosauro nella scatola, sezionata e studiata, dà inizio alla storia.

Le storie di fantascienza che coinvolgono dinosauri e simili mi attirano molto, e per fortuna sono molto ben rappresentate negli Urania. Le storie con viaggi nel tempo meno, sono caotiche, difficili da seguire e troppo spesso ignorano grossolani problemi di paradossi, che anche se non vengono spiegati, raramente permettono all'autore di uscirsene con una soluzione elegante.

Swanwick è un buon autore di fantascienza, quindi ha fatto vincere il mio animo pro-dinosauri, e sono felice di questo esito!

Il mondo di Ossa della Terra è deterministico in maniera rigida, tutto quello che è già stato osservato deve avvenire senza la minima deviazione, se si crea un paradosso tutta la linea temporale si limita a scomparire senza lasciare traccia di sé. Questo risolve molti problemi, ed essendo una regola nota ai personaggi, li vincola in maniera molto forte alle autorità, che del cosa e chi osservare in vari momenti del tempo fanno la loro attività principale, per fissarne il destino a loro vantaggio.

La trama principale è  la storia della setta Creazionista che cerca di infiltrarsi per
avere accesso alla tecnologia del viaggio nel tempo, per poter inserire nel passato artefatti che confermino le loro idee e discreditino sia i paleontologi e gli studi sull'evoluzione dei dinosauri, sia i fisici che sostengono di mandare persone e materiali indietro nel tempo di milioni di anni, e non di poche migliaia come i Creazionisti della Terra Giovane sostengono.

In parallelo, Leyster, bloccato nel passato con il suo gruppo di ricerca per un attentato dei creazionisti, ha la possibilità di osservare da vicino e per lungo tempo i dinosauri del Mesozoico, traendone stupefacenti conclusioni, che lo portano da ultimo a capire la vera origine, non umana, della tecnologia del viaggio nel tempo.

Mi avrebbe fatto piacere che al romanzo allegassero anche il racconto originale "Scherzo with Tyrannosaur", premio Hugo 2000 come miglior storia breve, che è il cuore da cui è stato espanso questo romanzo. Forse sarebbe stato ripetitivo, ma avrebbe dato uno spaccato interessante di come sia cresciuta questa storia!

sabato 5 aprile 2014

Il canto di Acchiappacoda - Tad Williams

In Il canto di Acchiappacoda, l'ambientazione è un mondo in cui ogni specie animale ha intelligenza umana, una sua mitologia, credenze, tradizioni, ed ogni specie si considera quella dominante sul pianeta.

Il racconto è narrato dal punto di vista dei gatti. La mitologia felina viene presentata in maniera molto dettagliata, tramite storie, raduni e canti, a partire dalla creazione dei primi gatti, la "madre di tutti" Meerclar, i suoi figli Harar Occhio-d'oro e Fela Danza-in-Cielo, ed i figli di questi ultimi, i tre Primi Nati, le cui vicende plasmano la razza felina, le sue usanze e le sue superstizioni.
Con la mitologia - Tolkien insegna - viene un dizionario dedicato, poche parole di lingua comune tra gli animali che vengono liberamente usate e combinate tra loro in maniera molto suggestiva, per quanto semplicistica e senza struttura.

La storia è un classico racconto fantasy di viaggio. Misteriose creature rapiscono gatti dalla colonia di Acchiappacoda, spingendolo a partire alla ricerca della sua (quasi) compagna scomparsa. Durante il viaggio si uniscono a lui altri viaggiatori con diverse missioni più o meno collegate, conosce la Corte e si unisce ad una missione alla ricerca dei misteriosi rapitori, di cui vediamo nel corso del viaggio diversi scorci sempre più spaventosi.

Acchiappacoda è un tipico "prescelto", sottovalutato da chi lo conosce, con poteri da sviluppare, che ha bisogno di conoscere persone e stabilire legami che lo spingano a sbloccare questi poteri per andare oltre se stesso.

Il cattivo, con mio grande disappunto, perché credo nella separazione della mitologia dalle storie "in corso", si rivela essere Mangiacuore stesso, il secondo dei Primi Nati corrotto dagli anni, rifugiatosi sotto terra a produrre una genia di gatti sempre più deformi e corrotti dall'oscurità e dalla malvagita primordiale.

Da principio era un po' disturbante il taglio maschilista della storia, le fele, le gatte, erano descritte come superficiali ed un po' superflue alla società. Tutti i personaggi femminili sono vacui e poco più che detestabili. Disturba perché è raro vedere un taglio così nettamente negativo espresso in maniera esplicita. Tad Williams si salva in corner presentando nella seconda parte della storia Ombra-di-tetto, un personaggio femminile dominante, anche se per via di traumi di vario genere, che compensa ampiamente tutti i dubbi precedenti.

Il canto di Acchiappacoda si legge davvero bene, e merita il suo posto nel piccolo scaffale dei classici Fantasy.

Non farei leggere questo libro ad un bambino, sebbene il tema e l'ambientazione in generale suggeriscano che sia quello il target. I lunghi capitoli sotto alla collina, con stenti e fame, buio e claustrofobia, lavori forzati e dolore, sono davvero da incubo. Mi è capitato davvero di rado leggere descrizioni di scene di sofferenza così immersive e complete.

Aspetto il film!

venerdì 4 aprile 2014

Il castello errante di Howl - Diana Wynne Jones

Wow.

Solo wow.

Una storia davvero potente, la costruzione di un mondo incredibile e coerente, fatto di personaggi umani e semplici ma incredibilmente diversi tra loro e da noi.

La magia è complessa, spaventosa, semplice ma fuori controllo, tutto allo stesso tempo.

C'è la magia di Howl, capricciosa e buona. La magia di Calcifer potente e più primordiale, la magia di Sophie spontanea ed imprevedibile. Questa combinazione di personaggi potenti che interagiscono, litigano, si confrontano, è alla base di questo stupendo racconto.

Tutto torna come un puzzle, niente è inutile, superfluo o fuori posto. Ogni colore, allusione trova il suo spazio nella narrazione, da quelle più evidenti e portanti fino ai dettagli più piccoli.

Avete visto il film di Miyazaki? Ecco, il film è schifo al confronto. Non è degno di avere lo stesso nome. Non è degno di far muovere gli stessi personaggi. Non è degno di prendere una storia perfetta come un ingranaggio e stravolgerla pur di metterci l'ennesimo messaggio sociale di Miyazaki in maniera forzata.