mercoledì 4 marzo 2020

Febbre - Jonathan Bazzi

Sarà sincero.
Non amo le autobiografie, non amo i racconti autobiografici, non amo gli scrittori che scrivono di sé stessi, a meno che non abbiano una ragione fortissima per farlo, e non consideravo l'avere l'HIV una ragione sufficiente a giustificare questo romanzo.
Però era su Ad Alta Voce e gli ho dato una possibilità. Ho fatto bene.

Il racconto della scoperta graduale della sieropositività è solo una scusa, un argomento che sembra centrale ma è un MacGuffin.
Febbre è una storia di Rozzano, una storia di immigrazione, di disagio, di dinamiche sociali distorte e slegate dalle regole che pensiamo guidino tutta l'Italia. Febbre racconta della periferia, di palazzoni di cemento, di bambini che vivono una normalità anormale, di adulti che esasperano ogni conflitto perché nelle periferie perdute si vive di estremi, si schiaccia o si viene schiacciati.
Ho amato ogni parola del racconto d'infanzia, di Rozzano, della famiglia, dei drammi piccoli che diventano enormi perché amplificati dal punto di vista di un bambino.
L'autore galleggia in questo mare di persone perdute e riesce a uscirne. La sieropositività è comunque meglio di Rozzano.

Capisco che questo libro possa sembrare insignificante o inutile a chi lo legge avendo vissuto esperienze analoghe o persino peggiori. Capisco che possa sembrargli carta sprecata in cui si raccontano episodi che non trova utili e non gli danno nulla. Non è così per me, per me è un mondo completamente alieno e lontano, con cui se ho avuto qualche contatto è stato pieno di repulsione e desiderio di allontanarmene, perché potevo farlo e non avrei mai fatto diversamente.
Leggerne da una penna così lucida e affilata è un piacere, un modo per capire senza dovermi avvicinare, perché non ho né il desiderio né la preparazione per un avvicinamento.

Odio le autobiografie, ma Febbre non è un'autobiografia. È la storia di un paese intero con tutte le forzature di culture lontane e incompatibili pigiate in uno spazio claustrofobico.