Philip Pullman rende al meglio nelle ambientazioni fantastiche, di qualsiasi genere. Il suo stile stride con la modernità, specie se prova disperatamente a trasmettere un messaggio in maniera diretta e non metaforica.
Il ponte spezzato è stato un successo? Forse, o forse i critici si sentono in dovere di recensire positivamente un libro che affronta temi moderni e scottanti, come il razzismo, l'integrazione, etc. Sono felice che Pullman li abbia affrontati e in maniera così positiva e diretta, ma il risultato non è un buon libro.
Si parla di Ginny, di una ragazza nera che vive col padre bianco. La madre di Ginny è morta quando era molto piccola lasciandoli soli. Con loro va a vivere Robert, il fratellastro bianco di Ginny, di cui il padre non aveva mai neppure parlato finché sua madre non è morta lasciandoglielo.
I tempi sono pessimi, i capitoli sono pieni di fuffa, non succede nulla per pagine e pagine e pagine. C'è un mistero nella vita passata del padre a cui si allude nel corso della storia, dandoci spizzichi e bocconi, Ginny indaga ma non scopre mai nulla di sostanziale e utile, si limita a fare fantasie su un episodio (circa mitico) riguardante il ponte spezzato del titolo, ma completamente scorrelato dalla realtà. Certo, è realistico che una ragazzina non riesca a portare avanti delle indagini complesse, ma da lettore non mi soddisfa. Tutto viene rivelato di colpo in un capitolo finale "a la Conan Doyle" in cui si racconta tutto il passato e come si sono create le circostanze attuali. Meglio di niente.
Un Pullman non al suo meglio, probabilmente da evitare se già non si sono affrontati i suoi cicli più celebri. Purtroppo il mischione di perbenismo, sociale, sovrannaturale, giallo, thriller, è troppo da digerire in un'unica storia.
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