Piccole donne, audiolibro su Liberliber.
Piccole donne è un classico di quelli pericolosi, talmente affermati da essere intoccabile.
Crea dipendenza per colpa dei suoi personaggi molto sparsi su ogni tipo umano e caratteriale, qualsiasi lettore dell'età giusta trova un po' di sé ed ha un personaggio con cui schierarsi, con cui indignarsi, con cui sperare, grazie alla narrazione senza un punto di vista preferenziale.
Mi fa rabbrividire pensare al mondo così intriso di morale e valori cristiani portati all'eccesso. Quasi spero che si tratti solo di finzione letteraria e che non fosse uno spaccato realistico della società di metà '800, ma sono ben consapevole che non è così.
Piccole donne racconta di una società in cui tutto ruota attorno a dei valori cristiani che non vengono mai spiegati, ma sono inculcati come qualcosa di così basilare da non poter neppure essere dubitati. Sei migliore se pensi ed agisci secondo i precetti della Bibbia, sei peggiore se non lo fai. Non importano la propria morale interiore, il proprio senso dell'onore, slegati dalla religione.
Questa forzatura è ancora più evidente nelle protagoniste femminili, la cui vita ruota attorno al raggiungere un ideale di femminilità cristiana, condita di carità e virtù, ovviamente tesa ad un matrimonio altrettanto puro. Leggendo si sente tutto l'odio della Alcott verso questa imposizione, il suo indignarsi agitato e non espresso, che riesce a rendere con efficacia tramite Jo, il suo chiaro alterego nel racconto.
Jo viene usata per parlare di individualità, di vocazione (da scrittrice), di scelte azzardate e di matrimoni rifiutati per seguire le proprie ambizioni.
Piccole donne è la rappresentazione simbolica della società femminile dell'epoca in tutte le sue sfaccettature, dalla maturità della madre ai diversi caratteri delle figlie, ognuna che lotta per plasmare a sua immagine il futuro della donna nella società.
domenica 29 giugno 2014
sabato 28 giugno 2014
Ayla figlia della terra - Jean M. Auel
Ho riletto Ayla figlia della terra dopo aver visto (con ampio ritardo) l'ultima del sesto ed ultimo volume della saga.
Per quanto strano, era stato un libro importante nel formare la mia visione del mondo, quando l'avevo letto da bambino, mi ha insegnato che "tutto può andare male, e poi peggio, ma se ti impegni puoi tirare a fondo con te le persone che ti fanno del male". Quindi ero un po' timoroso ed un po' curioso di rileggerlo, per vedere quanto di quel che ricordavo fosse frutto di una elaborazione e quanto vero. Sono felice che fosse tutto incredibilmente accurato!
Non c'è realismo nel ciclo de I figli della terra, l'intera saga è un romanzo di formazione in cui una (poi due) persone letteralmente inventano ogni tecnologia scoperta dall'uomo nell'arco di qualche millennio. Non c'è neppure una grande inaccuratezza, anzi, a volte si è sopraffatti dalla mole di dettagli botanici, geologici, quant'altro l'autrice avesse studiato come materiale per i romanzi per poi decidere di condividerlo a forza.
L'essenza del libro sono i suoi personaggi, squadrati e netti. Ayla è il prototipo di estraneo in un ambiente socialmente poco ospitale; Creb è l'uomo sacro al di sopra di chiunque altro della sua razza, l'"intelligente"; Brun il prototipo del leader buono con un grande senso del bene comune e delle conseguenze a lungo termine di ogni sua decisione; Brud è il prototipo del bullo, il cattivo non lungimirante e destinato a fallire per sua stessa incapacità. Ognuno si comporta strettamente secondo le regole personali dell'archetipo che rappresenta.
Questo primo volume è forse quello che fa più infuriare e stare male con il lettore, si empatizza con l'unico personaggio simile a noi e si soffre ogni pagina per le angherie ed i soprusi. Sapere che le sue sorti miglioreranno in un crescendo di positività nel corso della serie è l'unica promessa che aiuta a sopportare!
Per quanto strano, era stato un libro importante nel formare la mia visione del mondo, quando l'avevo letto da bambino, mi ha insegnato che "tutto può andare male, e poi peggio, ma se ti impegni puoi tirare a fondo con te le persone che ti fanno del male". Quindi ero un po' timoroso ed un po' curioso di rileggerlo, per vedere quanto di quel che ricordavo fosse frutto di una elaborazione e quanto vero. Sono felice che fosse tutto incredibilmente accurato!
Non c'è realismo nel ciclo de I figli della terra, l'intera saga è un romanzo di formazione in cui una (poi due) persone letteralmente inventano ogni tecnologia scoperta dall'uomo nell'arco di qualche millennio. Non c'è neppure una grande inaccuratezza, anzi, a volte si è sopraffatti dalla mole di dettagli botanici, geologici, quant'altro l'autrice avesse studiato come materiale per i romanzi per poi decidere di condividerlo a forza.
L'essenza del libro sono i suoi personaggi, squadrati e netti. Ayla è il prototipo di estraneo in un ambiente socialmente poco ospitale; Creb è l'uomo sacro al di sopra di chiunque altro della sua razza, l'"intelligente"; Brun il prototipo del leader buono con un grande senso del bene comune e delle conseguenze a lungo termine di ogni sua decisione; Brud è il prototipo del bullo, il cattivo non lungimirante e destinato a fallire per sua stessa incapacità. Ognuno si comporta strettamente secondo le regole personali dell'archetipo che rappresenta.
Questo primo volume è forse quello che fa più infuriare e stare male con il lettore, si empatizza con l'unico personaggio simile a noi e si soffre ogni pagina per le angherie ed i soprusi. Sapere che le sue sorti miglioreranno in un crescendo di positività nel corso della serie è l'unica promessa che aiuta a sopportare!
lunedì 23 giugno 2014
Morti viventi (a Dallas) - Charlaine Harris
Continuo a leggere la saga di The Southern Vampire Mysteries, dopo il primo volume, Finché non cala il buio.
La storia diventa più complessa, perde quell'aria di innocenza, ma ancora le diverse trame non riescono ad integrarsi.
Ci sono due storie nettamente separate, pigiate un po' a forza nello stesso arco narrativo.
L'omicidio di Lafayette, i festini segreti, la menade attirata da sesso, alcol e violenza.
Il rapimento di un vampiro dal nido di Dallas da parte della Confraternita del Sole (l'equivalente del KKK, ma con la fissa per i vampiri), e la successiva indagine e tentativo di infiltrarsi nella setta.
L'unico punto deludente rispetto al telefilm: Lafayette muore! Mai scelta di uno sceneggiatore è stata più azzeccata che tenerlo in gioco come personaggio principale. Lafayette è uno dei pilastri su cui si regge True Blood.
Il personaggio di Godric è sottotono e sprecato, tanto nella serie quanto nel romanzo. Un vampiro davvero antico, davvero potente, davvero distaccato dal mondo, descritto in maniera incredibilmente suggestiva, che poteva avere un ruolo importante nell'evoluzione di tutti i personaggi, viene (letteralmente) bruciato in pochi paragrafi. Sigh.
Si inizia ad intravedere un quadro più globale della situazione "super", un gruppo di mutaforma a Dallas, dei mannari, esploriamo un po' la gerarchia dei vampiri e quali sono le loro convenzioni mediate dal dover restare nella legalità. Sam è un personaggio più complesso, meno fraterno/amorevole e più libero e selvaggio grazie alla sua natura di mutaforma. Lo preferisco in questa versione.
La storia diventa più complessa, perde quell'aria di innocenza, ma ancora le diverse trame non riescono ad integrarsi.
Ci sono due storie nettamente separate, pigiate un po' a forza nello stesso arco narrativo.
L'omicidio di Lafayette, i festini segreti, la menade attirata da sesso, alcol e violenza.
Il rapimento di un vampiro dal nido di Dallas da parte della Confraternita del Sole (l'equivalente del KKK, ma con la fissa per i vampiri), e la successiva indagine e tentativo di infiltrarsi nella setta.
L'unico punto deludente rispetto al telefilm: Lafayette muore! Mai scelta di uno sceneggiatore è stata più azzeccata che tenerlo in gioco come personaggio principale. Lafayette è uno dei pilastri su cui si regge True Blood.
Il personaggio di Godric è sottotono e sprecato, tanto nella serie quanto nel romanzo. Un vampiro davvero antico, davvero potente, davvero distaccato dal mondo, descritto in maniera incredibilmente suggestiva, che poteva avere un ruolo importante nell'evoluzione di tutti i personaggi, viene (letteralmente) bruciato in pochi paragrafi. Sigh.
Si inizia ad intravedere un quadro più globale della situazione "super", un gruppo di mutaforma a Dallas, dei mannari, esploriamo un po' la gerarchia dei vampiri e quali sono le loro convenzioni mediate dal dover restare nella legalità. Sam è un personaggio più complesso, meno fraterno/amorevole e più libero e selvaggio grazie alla sua natura di mutaforma. Lo preferisco in questa versione.
Etichette:
delos,
fazi,
harris,
horror,
Sookie Stackhouse,
true blood,
TSVM,
vampiri
domenica 22 giugno 2014
Ameni inganni - Giuseppe Culicchia
Ameni inganni, journal.
Giuseppe Culicchia è appena entrato nella mia lista di autori da esplorare. Ho letto Ameni Inganni in una notte, in albergo al caldo e dell'umore sbagliato per questo racconto, ma nonostante questo è finito in un attimo.
Alberto ha quarant'anni, non lavora, vive nella soffitta della casa della madre e divide il suo tempo tra le sue uniche due passioni, costruire e collezionare modelli di astronavi e le riviste pornografiche americane.
La morte della madre che apre il romanzo sconvolge questo suo mondo di solitudine costringendolo ad affrontare la vita, ad imparare a cucinare, a prendersi cura di sé, a fare dei piani a lungo termine per sopravvivere.
A questo punto pensavo "Ah, beh, è un racconto ottimistico, di rinascita e riscoperta delle proprie potenzialità, niente di nuovo", in realtà è tutt'altro, è brutalmente reale nella sua discesa nella paranoia e nell'ossessione. I tentativi di uscire nel mondo si trasformano in goffi espedienti destinati a fallire. Un rapporto riallacciato per caso con una fidanzata del liceo degenera rapidamente in stalking. Le menzogne si moltiplicano. I piani vanno a pezzi.
Lo stile è "a la Chuck Palahniuk", seguendo il flusso di pensieri, più o meno frammentati e caotici in base alla situazione. La ripetizione fa un grande lavoro nel creare l'atmosfera giusta, le ricette dei sofficini, i nomi delle playmate, lunghi elenchi.
È un libro che fa paura per quanto sia vicino a molte realtà che vedo e vivo. Forse arriva più come un monito che come una storia di cui sorridere amaramente, ma è questo che lo rende così avvincente.
Giuseppe Culicchia è appena entrato nella mia lista di autori da esplorare. Ho letto Ameni Inganni in una notte, in albergo al caldo e dell'umore sbagliato per questo racconto, ma nonostante questo è finito in un attimo.
Alberto ha quarant'anni, non lavora, vive nella soffitta della casa della madre e divide il suo tempo tra le sue uniche due passioni, costruire e collezionare modelli di astronavi e le riviste pornografiche americane.
La morte della madre che apre il romanzo sconvolge questo suo mondo di solitudine costringendolo ad affrontare la vita, ad imparare a cucinare, a prendersi cura di sé, a fare dei piani a lungo termine per sopravvivere.
A questo punto pensavo "Ah, beh, è un racconto ottimistico, di rinascita e riscoperta delle proprie potenzialità, niente di nuovo", in realtà è tutt'altro, è brutalmente reale nella sua discesa nella paranoia e nell'ossessione. I tentativi di uscire nel mondo si trasformano in goffi espedienti destinati a fallire. Un rapporto riallacciato per caso con una fidanzata del liceo degenera rapidamente in stalking. Le menzogne si moltiplicano. I piani vanno a pezzi.
Lo stile è "a la Chuck Palahniuk", seguendo il flusso di pensieri, più o meno frammentati e caotici in base alla situazione. La ripetizione fa un grande lavoro nel creare l'atmosfera giusta, le ricette dei sofficini, i nomi delle playmate, lunghi elenchi.
È un libro che fa paura per quanto sia vicino a molte realtà che vedo e vivo. Forse arriva più come un monito che come una storia di cui sorridere amaramente, ma è questo che lo rende così avvincente.
mercoledì 18 giugno 2014
Diario di un killer sentimentale - Luis Sepulveda
Diario di un killer sentimentale, journal
Ero abituato ad un Sepulveda più favoleggiante, più naturale, più politico.
Il Diario di un killer sentimentale cambia tutti i suoi canoni portandoci in ambienti urbani, alberghi, mercati, conferenze. Ma lascia un po' di amaro, sembra avere tutte le premesse per un ottimo romanzo, ma viene troncato di colpo con una coincidenza più che attesa che rovina tutta l'atmosfera.
Il titolo spiega prassappoco tutto. Un killer, con un obiettivo da eliminare. La ragazza a cui si è incautamente legato, in maniera irresponsabile secondo ogni regola del buon killer, lo lascia in maniera confusa durante la missione, portandolo ad essere avventato e a commettere degli errori.
La serie di coincidenze più che attesa, perché non c'era altro modo di far concludere la storia in così poco tempo, lo porta a risolvere il suo problema sentimentale in modo tanto drastico quanto "bisognoso di ulteriori spiegazioni". Almeno un altro capitolo, su, ce lo meritavamo.
Non è un capolavoro? Probabilmente. Ma è intenso e si legge in un sorso solo, grazie allo stile incredibilmente asciutto e minimale di Sepulveda, quindi vale ogni minuto del tempo che prende!
Spero che un giorno Sepulveda lo espanda in un romanzo più articolato.
Ero abituato ad un Sepulveda più favoleggiante, più naturale, più politico.
Il Diario di un killer sentimentale cambia tutti i suoi canoni portandoci in ambienti urbani, alberghi, mercati, conferenze. Ma lascia un po' di amaro, sembra avere tutte le premesse per un ottimo romanzo, ma viene troncato di colpo con una coincidenza più che attesa che rovina tutta l'atmosfera.
Il titolo spiega prassappoco tutto. Un killer, con un obiettivo da eliminare. La ragazza a cui si è incautamente legato, in maniera irresponsabile secondo ogni regola del buon killer, lo lascia in maniera confusa durante la missione, portandolo ad essere avventato e a commettere degli errori.
La serie di coincidenze più che attesa, perché non c'era altro modo di far concludere la storia in così poco tempo, lo porta a risolvere il suo problema sentimentale in modo tanto drastico quanto "bisognoso di ulteriori spiegazioni". Almeno un altro capitolo, su, ce lo meritavamo.
Non è un capolavoro? Probabilmente. Ma è intenso e si legge in un sorso solo, grazie allo stile incredibilmente asciutto e minimale di Sepulveda, quindi vale ogni minuto del tempo che prende!
Spero che un giorno Sepulveda lo espanda in un romanzo più articolato.
martedì 17 giugno 2014
Premiata ditta Sorelle Ficcadenti - Andrea Vitali
Siamo nel 1915, a Bellano, un paesino che potrebbe stare in qualsiasi zona di provincia italiana, ma che per caso si trova in Lombardia. La Stampina - lo stereotipo della pia donna che non perde mai una messa delle 6 del mattino - si confida con il parroco. Il suo figlio Geremia, un bamboccione da definizione, si è innamorato della classica femme fatale, Giovenca Ficcadenti, da poco piombata nel tranquillo paese, ed è convinto di volerla sposare, ad ogni costo.
La bellissima Giovenca e la brutta sorella Zemia hanno aperto una merceria in paese, la Premiata ditta Sorelle Ficcadenti del titolo. Perché è premiata? E da chi?
Da queste domande partono una serie di indagini, pettegolezzi, voci. Da parte del prete, della Stampina, della perpetua che non riesce mai a saperne abbastanza, dei carabinieri.
Ognuno di questi attori è soggetto ai limiti della sua condizione. Il prete ha i limiti morali che gli impediscono di mentire per avere informazioni, le forze dell'ordine hanno vincoli legali, la perpetua ha la sua immagine di riservatezza da mantenere.
L'atmosfera di paese è resa perfettamente, mentre si seguono voci e scoperte che rimbalzano e passano da bocca ad orecchio, sempre confidenziali, sempre destinati a smorzarsi ma senza che succeda davvero.
In parallelo ci viene raccontata la storia di Giovenca, a partire dal suo primo matrimonio, seguendola per tutta la serie di vicende che la portano ad aprire la merceria, e da ultimo ad accettare le attenzioni di un Geremia molto al di sotto delle sue possibilità.
C'è una grande ironia ed un ancor più grande simbolismo in queste pagine, che si divorano letteralmente per il desiderio di sapere di più, sempre di più, perché non c'è capitolo che non lasci qualche dettaglio importante in sospeso (che spesso non viene riproposto direttamente mai più, lasciando al lettore il compito di ricostruirlo da eventi successivi).
Il finale sembra un po' affrettato, non all'altezza del dipinto di passato e presente sovrapposti che si è creato una scena alla volta. Forse non all'altezza di personaggi che sono davvero vivi, nella loro innocua banalità di paese, che permette a tutti di associar loro un volto che risponde perfettamente all'immagine proposta.
La bellissima Giovenca e la brutta sorella Zemia hanno aperto una merceria in paese, la Premiata ditta Sorelle Ficcadenti del titolo. Perché è premiata? E da chi?
Da queste domande partono una serie di indagini, pettegolezzi, voci. Da parte del prete, della Stampina, della perpetua che non riesce mai a saperne abbastanza, dei carabinieri.
Ognuno di questi attori è soggetto ai limiti della sua condizione. Il prete ha i limiti morali che gli impediscono di mentire per avere informazioni, le forze dell'ordine hanno vincoli legali, la perpetua ha la sua immagine di riservatezza da mantenere.
L'atmosfera di paese è resa perfettamente, mentre si seguono voci e scoperte che rimbalzano e passano da bocca ad orecchio, sempre confidenziali, sempre destinati a smorzarsi ma senza che succeda davvero.
In parallelo ci viene raccontata la storia di Giovenca, a partire dal suo primo matrimonio, seguendola per tutta la serie di vicende che la portano ad aprire la merceria, e da ultimo ad accettare le attenzioni di un Geremia molto al di sotto delle sue possibilità.
C'è una grande ironia ed un ancor più grande simbolismo in queste pagine, che si divorano letteralmente per il desiderio di sapere di più, sempre di più, perché non c'è capitolo che non lasci qualche dettaglio importante in sospeso (che spesso non viene riproposto direttamente mai più, lasciando al lettore il compito di ricostruirlo da eventi successivi).
Il finale sembra un po' affrettato, non all'altezza del dipinto di passato e presente sovrapposti che si è creato una scena alla volta. Forse non all'altezza di personaggi che sono davvero vivi, nella loro innocua banalità di paese, che permette a tutti di associar loro un volto che risponde perfettamente all'immagine proposta.
domenica 15 giugno 2014
Parola di strega - Terence Blacker
Parola di Strega, journal.
Cercando informazioni su questa serie di libri scritta di Terence Blacker, scopro che questo è il nono libro della serie. Il quarto nell'ordine di pubblicazione in Italia, perché insomma, siamo in Italia e sarebbe troppo pretendere di trattare seriamente i libri per bambini.
La storia è molto semplice, vogliono chiudere San Barnaba la scuola dei nostri protagonisti, che devono inventare un piano per impedirlo (la loro è una bella scuola), con l'aiuto della signorina Incantesimi (Ms Wiz), che in una delle tappe precedenti ha però rinunciato alla magia per avere una famiglia, dei figli e degli hobby noiosi. Una chiara metafora per "ha deciso di diventare adulta, noiosa e seria. E magari di comprare un camper".
Lo stile delle illustrazioni di Tony Ross, poi, è talmente radicato nel mio stereotipo di "libro per bambini che merita di essere letto" che sono sicuro faccia guadagnare almeno un paio di voti grazie all'effetto nostalgico che ha!
Se trovassi in blocco tutti i volumi della serie, magari in ebook, li leggerei con piacere, per approfondire dei personaggi che sembrano ben scolpiti, seppur complicati da inquadrare in un racconto così breve.
Cercando informazioni su questa serie di libri scritta di Terence Blacker, scopro che questo è il nono libro della serie. Il quarto nell'ordine di pubblicazione in Italia, perché insomma, siamo in Italia e sarebbe troppo pretendere di trattare seriamente i libri per bambini.
La storia è molto semplice, vogliono chiudere San Barnaba la scuola dei nostri protagonisti, che devono inventare un piano per impedirlo (la loro è una bella scuola), con l'aiuto della signorina Incantesimi (Ms Wiz), che in una delle tappe precedenti ha però rinunciato alla magia per avere una famiglia, dei figli e degli hobby noiosi. Una chiara metafora per "ha deciso di diventare adulta, noiosa e seria. E magari di comprare un camper".
Lo stile delle illustrazioni di Tony Ross, poi, è talmente radicato nel mio stereotipo di "libro per bambini che merita di essere letto" che sono sicuro faccia guadagnare almeno un paio di voti grazie all'effetto nostalgico che ha!
Se trovassi in blocco tutti i volumi della serie, magari in ebook, li leggerei con piacere, per approfondire dei personaggi che sembrano ben scolpiti, seppur complicati da inquadrare in un racconto così breve.
lunedì 9 giugno 2014
La carta più alta - Marco Malvaldi
Torniamo nel BarLume per il quarto caso del nostro barrista (sic) Massimo e dei suoi vecchini di fiducia.
Dopo un omicidio classico ed esplicito, un omicidio mascherato da incidente, un omicidio che proprio omicidio non era, dobbiamo iniziare a spulciare la nostra raccolta di Agatha Christie per controllare quali altre strutture abbia inventato. Ah, ecco! il Cold case! Il caso da lungo archiviato che per ragioni più o meno banali viene riaperto, e grazie ad una serie di coincidenze ed intuizioni viene completamente reinterpretato!
Ancora di più in questo quarto libro, la trama si sarebbe adattata meglio ad un racconto lungo. Il tipo di struttura l'avrei visto benissimo applicato ad un racconto dei Vedovi Neri di Asimov, con un ospite che racconta il suo caso e tutti i dettagli che conosce, una successiva analisi per esclusione fatta durante il pasto e quindi il fidato Henry che ha l'idea geniale ma meno intuitiva che spiega tutto razionalmente e può essere verificata da una singola informazione, ottenuta con una telefonata. La struttura è esattamente quella, ma raccontata con molte più energie sprecate, con forzature come l'incidente di Massimo che non ha alcun ruolo a parte metterlo con una scusa in ospedale per un paio di settimane sotto le cure - toh, che caso - del medico che poteva aiutarlo con una serie di informazioni essenziali (non si fa, non si fa!)
Almeno la qualità dei dialoghi dei vecchini pisani, che esistono solo per fare ambientazione locale ed ispirare simpatia ai lettori pisani, sono migliorate di qualità. Mi immagino Malvaldi appostato con dei baffi finti e degli occhiali scuri in un angolo della Tazza d'Oro, con un taccuino su cui annotare ogni commento salace urlato con la discrezione del posto.
Dopo un omicidio classico ed esplicito, un omicidio mascherato da incidente, un omicidio che proprio omicidio non era, dobbiamo iniziare a spulciare la nostra raccolta di Agatha Christie per controllare quali altre strutture abbia inventato. Ah, ecco! il Cold case! Il caso da lungo archiviato che per ragioni più o meno banali viene riaperto, e grazie ad una serie di coincidenze ed intuizioni viene completamente reinterpretato!
Ancora di più in questo quarto libro, la trama si sarebbe adattata meglio ad un racconto lungo. Il tipo di struttura l'avrei visto benissimo applicato ad un racconto dei Vedovi Neri di Asimov, con un ospite che racconta il suo caso e tutti i dettagli che conosce, una successiva analisi per esclusione fatta durante il pasto e quindi il fidato Henry che ha l'idea geniale ma meno intuitiva che spiega tutto razionalmente e può essere verificata da una singola informazione, ottenuta con una telefonata. La struttura è esattamente quella, ma raccontata con molte più energie sprecate, con forzature come l'incidente di Massimo che non ha alcun ruolo a parte metterlo con una scusa in ospedale per un paio di settimane sotto le cure - toh, che caso - del medico che poteva aiutarlo con una serie di informazioni essenziali (non si fa, non si fa!)
Almeno la qualità dei dialoghi dei vecchini pisani, che esistono solo per fare ambientazione locale ed ispirare simpatia ai lettori pisani, sono migliorate di qualità. Mi immagino Malvaldi appostato con dei baffi finti e degli occhiali scuri in un angolo della Tazza d'Oro, con un taccuino su cui annotare ogni commento salace urlato con la discrezione del posto.
domenica 8 giugno 2014
Finché non cala il buio - Charlaine Harris
Ammetto di non essere imparziale, per quanto riguarda The Southern Vampire Mysteries. Potrebbero essere i libri peggiori del mondo, e penso che li affronterei comunque con entusiasmo ottimistico, condizionato dalla trashosità contagiosa di True Blood, la serie che hanno generato.
Un po' del piacere si perde dal sapere già come si svilupperanno diverse linee narrative e quali saranno i colpi di scena principali, ma si intravede già dal primo volume (di tredici) una netta divergenza rispetto alla serie TV. Questo fa ben sperare in qualcosa di nuovo da leggere, per espandere l'universo di Sookie.
La storia e lo stile sono semplici come la protagonista, è lei che ci fa da filtro e tutto diventa semplice ed un po' in bianco e nero, spaventoso o rilassante, noioso o eccitante. Le sue abilità telepatiche le permettono di rendere il suo ruolo di narratore molto potente e versatile, nelle mani di una buona scrittrice.
Fan della serie, forse sarete delusi dalla semplicità di questo primo volume, meno personaggi, meno azione, meno LaFayette, ma è comunque un'esperienza da fare!
(Perché, perché, perché non hanno tenuto Bubba, Elvis Presley vampirizzato male e diventato un vampiro tonto che mangia gatti per passione? Sarebbe stato così terribilmente adatto ed avrebbe reso ancora più fenomenale True Blood. È la miglior idea mai vista in un libro di vampiri moderno!)
Un po' del piacere si perde dal sapere già come si svilupperanno diverse linee narrative e quali saranno i colpi di scena principali, ma si intravede già dal primo volume (di tredici) una netta divergenza rispetto alla serie TV. Questo fa ben sperare in qualcosa di nuovo da leggere, per espandere l'universo di Sookie.
La storia e lo stile sono semplici come la protagonista, è lei che ci fa da filtro e tutto diventa semplice ed un po' in bianco e nero, spaventoso o rilassante, noioso o eccitante. Le sue abilità telepatiche le permettono di rendere il suo ruolo di narratore molto potente e versatile, nelle mani di una buona scrittrice.
Fan della serie, forse sarete delusi dalla semplicità di questo primo volume, meno personaggi, meno azione, meno LaFayette, ma è comunque un'esperienza da fare!
(Perché, perché, perché non hanno tenuto Bubba, Elvis Presley vampirizzato male e diventato un vampiro tonto che mangia gatti per passione? Sarebbe stato così terribilmente adatto ed avrebbe reso ancora più fenomenale True Blood. È la miglior idea mai vista in un libro di vampiri moderno!)
Etichette:
delos,
fazi,
harris,
horror,
Sookie Stackhouse,
true blood,
TSVM,
vampiri
venerdì 6 giugno 2014
La regina dei castelli di carta - Stieg Larsson
Di solito non apprezzo i romanzi in cui non succede quasi nulla, la storia non va avanti spedita e non ci sono ragioni esplicite per andare avanti nella lettura. Larsson per motivi che non mi sono ben chiari, è una eccezione, e riesce a rendere avvincente anche il più terrificante capitolo-background dell'ennesimo personaggio nuovo, che viene sviscerato ed analizzato dall'infanzia, in ogni suo vizio e virtù, prima di poterlo usare e far muovere sulla scena.
Millennium non mi è sembrato una vera trilogia. Uomini che odiano le donne è una storia a sé, isolata, pensata appena per introdurre i personaggi che hanno iniziato a vivere davvero nei seguiti.
La ragazza che giocava con il fuoco ha un legame molto più stretto con questo libro, la storia che si sviluppa è la stessa. Si inizia ad intravedere il passato di Lisbeth nell'uno e viene completamente svelato nel secondo. Tutti i personaggi negativi che non erano stati puniti dal contrappasso di Larrson restano in attesa della loro ghigliottina.
Lo stile è sempre lo stesso, un po' di eventi che precipitano, ma neppure troppo. Dei cattivi organizzati che provano a dare il meglio di sé, pensano di avere il controllo. Dei buoni incredibilmente intelligenti ed astuti che il lettore è rassicurato di vedere sempre in controllo della situazione, nonostante qualche rischio.
Quel che avvince non è la paura che qualcosa vada storto, ma la pura aspettativa ed il desiderio di vedere tutti i piani e le trappole, stese poco a poco, arrivare ad uno scioglimento ed avere l'effetto devastante ed equilibratore che ci si aspetta.
Lo schema è sempre quello delle analisi parallele, con scambi controllati di informazione che permettono di giocare con le varie personalità in campo messe in situazioni diverse ma non troppo. C'è l'indagine di Millennium, della Milton Security, di Lisbeth, della polizia, della Sapo e quella del "club Zalachenko". Il lettore ha tutti gli elementi sin dall'inizio, pochissimi nuovi elementi e storie rilevanti vengono scoperti. È un gioco a rimpiattino in cui ancora una volta ci si sente superiori ed onnipresenti, e si gioisce o trema col passare di un foglio di carta o di una voce, cercando di prevederne le conseguenze.
Millennium non è una trilogia di libri gialli o thriller. È un inno a quella giustizia pitagorica ed inarrestabile che è tanto piacevole veder applicata quanto improbabile da vedere in un sistema giudiziario moderno.
Millennium non mi è sembrato una vera trilogia. Uomini che odiano le donne è una storia a sé, isolata, pensata appena per introdurre i personaggi che hanno iniziato a vivere davvero nei seguiti.
La ragazza che giocava con il fuoco ha un legame molto più stretto con questo libro, la storia che si sviluppa è la stessa. Si inizia ad intravedere il passato di Lisbeth nell'uno e viene completamente svelato nel secondo. Tutti i personaggi negativi che non erano stati puniti dal contrappasso di Larrson restano in attesa della loro ghigliottina.
Lo stile è sempre lo stesso, un po' di eventi che precipitano, ma neppure troppo. Dei cattivi organizzati che provano a dare il meglio di sé, pensano di avere il controllo. Dei buoni incredibilmente intelligenti ed astuti che il lettore è rassicurato di vedere sempre in controllo della situazione, nonostante qualche rischio.
Quel che avvince non è la paura che qualcosa vada storto, ma la pura aspettativa ed il desiderio di vedere tutti i piani e le trappole, stese poco a poco, arrivare ad uno scioglimento ed avere l'effetto devastante ed equilibratore che ci si aspetta.
Lo schema è sempre quello delle analisi parallele, con scambi controllati di informazione che permettono di giocare con le varie personalità in campo messe in situazioni diverse ma non troppo. C'è l'indagine di Millennium, della Milton Security, di Lisbeth, della polizia, della Sapo e quella del "club Zalachenko". Il lettore ha tutti gli elementi sin dall'inizio, pochissimi nuovi elementi e storie rilevanti vengono scoperti. È un gioco a rimpiattino in cui ancora una volta ci si sente superiori ed onnipresenti, e si gioisce o trema col passare di un foglio di carta o di una voce, cercando di prevederne le conseguenze.
Millennium non è una trilogia di libri gialli o thriller. È un inno a quella giustizia pitagorica ed inarrestabile che è tanto piacevole veder applicata quanto improbabile da vedere in un sistema giudiziario moderno.
domenica 1 giugno 2014
Le montagne volanti - Poul Anderson
Urania Collezione 136, Maggio 2014
Conoscevo Poul Anderson per i suoi racconti e per il ciclo dei Guardiani del Tempo. Non lo avevo mai visto cimentarsi con della Hard SF, nonostante fosse quella che l'ha reso famoso.
Le montagne volanti, pur essendo una gran bella raccolta di racconti, prova a spacciarsi per romanzo, questo è antipatico.
La linea che li unisce è quella di una discussione interna al direttivo di questa gigantesca astronave ricavata da un asteroide cavo (la montagna del titolo). Devono decidere la storia da insegnare ai loro bambini, cosa esaltare e cosa omettere, per instillare dei valori che permettano loro di sopravvivere in un società chiusa come quella che si va ad instaurare all'interno dell'astronave generazionale.
A turno dei partecipanti alla riunione raccontano una storia del loro passato, partendo dalla guerra di indipendenza della fascia degli asteroidi fino al lancio effettivo della nave, per metterne in luce gli aspetti più umani e guidati da desideri ed aspirazioni poco epici e nobili, ma sicuramente più umani.
I singoli racconti sono delle piccole perle, spaccati meravigliosi di umanità e tecnologia. Ci si tuffa con meraviglia nell'atmosfera di Giove per raccogliere il prezioso gas da raffinare. Si inizia una rivoluzione per non sacrificare il proprio asteroide. Si lotta contro il tempo e la tecnologia per evitare una catastrofe ecologica causata da una nave da trasporto. Si lotta contro la burocrazia terrestre e si scoprono implicazioni ed effetti imprevedibili della sua applicazione pedante da parte di politici interessati alla propria carriera più che al progresso.
Ma trovo abbastanza (molto) abominevole aver cercato di legarli in questa maniera precaria, aggiungendo incongruenze interne nel farlo. L'effetto globale è quello del clip show dei telefilm, con i personaggi chiusi in una grotta a raccontarsi avventure passate, oppure dei Classici Disney delle origini, con le tavole di giunzione alle storie che vogliono idealmente unirle in un'unica meta narrazione.
Le incongruenze aggiunte dagli intermezzi di collegamento sono macroscopici.
Questa nave generazionale arriverà alla sua meta quando i primi coloni partiti dal sistema solare sono ancora vivi ed in forma. Questo vanifica gran parte della sua complessità. A che pro sviluppare una società ed una mitologia interne, se poi sono arrivati dopo non troppi anni? Anni di viaggio non implicano un isolamento totale ed irreversibile come presupposto.
Lo studio di una mitologia ed un programma di educazione adeguato alle dimensioni ed alla struttura della società l'avrei messo sicuramente tra i piani da sviluppare prima di partire, non certo qualcosa da lasciare in mano a dei dilettanti dell'educazione, abituati forse a combattere tra gli asteroidi o a veleggiare tra lo spazio, ma questo dubito li qualifichi per prevedere gli effetti a lungo termine di un loro esperimento didattico.
Forse avrei preferito i racconti secchi, senza contesto o con un contesto che viene liberamente interpolato da chi legge. Avere due pagine dopo ogni racconto che hanno il solo effetto di aggiungere dei problemi... è male.
Per chi amasse il tema delle astronavi generazionali e di come si possa creare una mitologia che permetta ad una popolazione isolata di controllarsi e sopravvivere a lungo termine, voglio ricordare "La città degli Aztechi" (Captive Universe) di Harry Harrison, pubblicato su Urania 858, che affronta questo problema con sensibilità, inventiva e arguzia ben diversa, con soluzioni tecniche ed umane che il nostro consiglio della montagna volante non ha intravisto neppure da lontano.
In un'astronave scavata nel cuore di un asteroide, grande quanto una città, un'intera popolazione è lanciata verso le stelle. Il viaggio durerà più generazioni e saranno figli e nipoti di chi è partito a esplorare effettivamente i mondi raggiunti al termine dell'odissea. Chiusi nel pianetino-astronave, i capi della spedizione discutono su come educare i giovani ad affrontare le prove che li aspettano. La risposta è ovvia: offrendo loro una serie di miti tratti dalla storia di chi ha concepito e reso possibile il volo spaziale. Questo lo sfondo sul quale Poul Anderson ha tracciato lo svolgimento della sua grandiosa epica spaziale, detta delle "Montagne Volanti" con riferimento alla fascia degli asteroidi stesa fra Marte e Giove. La loro conquista è concepita dunque come un'epopea simbolica, in contrasto con la società terrestre invecchiata, vuota d'iniziativa e preoccupata soltanto di conservare stabilità e benessere.
Conoscevo Poul Anderson per i suoi racconti e per il ciclo dei Guardiani del Tempo. Non lo avevo mai visto cimentarsi con della Hard SF, nonostante fosse quella che l'ha reso famoso.
Le montagne volanti, pur essendo una gran bella raccolta di racconti, prova a spacciarsi per romanzo, questo è antipatico.
La linea che li unisce è quella di una discussione interna al direttivo di questa gigantesca astronave ricavata da un asteroide cavo (la montagna del titolo). Devono decidere la storia da insegnare ai loro bambini, cosa esaltare e cosa omettere, per instillare dei valori che permettano loro di sopravvivere in un società chiusa come quella che si va ad instaurare all'interno dell'astronave generazionale.
A turno dei partecipanti alla riunione raccontano una storia del loro passato, partendo dalla guerra di indipendenza della fascia degli asteroidi fino al lancio effettivo della nave, per metterne in luce gli aspetti più umani e guidati da desideri ed aspirazioni poco epici e nobili, ma sicuramente più umani.
I singoli racconti sono delle piccole perle, spaccati meravigliosi di umanità e tecnologia. Ci si tuffa con meraviglia nell'atmosfera di Giove per raccogliere il prezioso gas da raffinare. Si inizia una rivoluzione per non sacrificare il proprio asteroide. Si lotta contro il tempo e la tecnologia per evitare una catastrofe ecologica causata da una nave da trasporto. Si lotta contro la burocrazia terrestre e si scoprono implicazioni ed effetti imprevedibili della sua applicazione pedante da parte di politici interessati alla propria carriera più che al progresso.
Ma trovo abbastanza (molto) abominevole aver cercato di legarli in questa maniera precaria, aggiungendo incongruenze interne nel farlo. L'effetto globale è quello del clip show dei telefilm, con i personaggi chiusi in una grotta a raccontarsi avventure passate, oppure dei Classici Disney delle origini, con le tavole di giunzione alle storie che vogliono idealmente unirle in un'unica meta narrazione.
Le incongruenze aggiunte dagli intermezzi di collegamento sono macroscopici.
Questa nave generazionale arriverà alla sua meta quando i primi coloni partiti dal sistema solare sono ancora vivi ed in forma. Questo vanifica gran parte della sua complessità. A che pro sviluppare una società ed una mitologia interne, se poi sono arrivati dopo non troppi anni? Anni di viaggio non implicano un isolamento totale ed irreversibile come presupposto.
Lo studio di una mitologia ed un programma di educazione adeguato alle dimensioni ed alla struttura della società l'avrei messo sicuramente tra i piani da sviluppare prima di partire, non certo qualcosa da lasciare in mano a dei dilettanti dell'educazione, abituati forse a combattere tra gli asteroidi o a veleggiare tra lo spazio, ma questo dubito li qualifichi per prevedere gli effetti a lungo termine di un loro esperimento didattico.
Forse avrei preferito i racconti secchi, senza contesto o con un contesto che viene liberamente interpolato da chi legge. Avere due pagine dopo ogni racconto che hanno il solo effetto di aggiungere dei problemi... è male.
Per chi amasse il tema delle astronavi generazionali e di come si possa creare una mitologia che permetta ad una popolazione isolata di controllarsi e sopravvivere a lungo termine, voglio ricordare "La città degli Aztechi" (Captive Universe) di Harry Harrison, pubblicato su Urania 858, che affronta questo problema con sensibilità, inventiva e arguzia ben diversa, con soluzioni tecniche ed umane che il nostro consiglio della montagna volante non ha intravisto neppure da lontano.
Iscriviti a:
Post (Atom)