lunedì 31 marzo 2014

Un gesuita in Cina - Giulio Andreotti

Un gesuita in Cina. 1552-1610: Matteo Ricci dall'Italia a Pechino.

È il compendio della vita (nota) di Matteo Ricci, un gesuita di cui ho sentito moltissimo parlare per ragioni completamente scollegate dalla sua missione... per essere stato il primo europeo a descrivere e a portare in Europa il gioco del Go. Trovandomi con questa sua biografia, non potevo rifiutarmi di leggerla.

Matteo Ricci, a detta del diplomatico che accompagna Andreotti alla tomba del gesuita, è stato "l'unico straniero che li abbia aiutati a comprendere la loro nazione". E detto parlando di un occidentale del '500 mandato in missione evangelica in un paese chiuso agli stranieri, non è un commento da poco.

La storia è appassionante e scritta bene, alternando un racconto leggero ad estratti della cronaca scritta da Ricci stesso del suo viaggio, del suo percorso di integrazione. Prima tentando di avvicinarsi alle comunità di bonzi, fino a capire che la via per la Cina passava dai Mandarini, gli intellettuali. Senza parlare mai di religione, ma solo di scienza, Matteo Ricci viene accolto e rapidamente rispettato in tutti gli ambienti colti, costruendosi una fama di saggio nonostante venisse dal mondo barbaro ed incivile fuori dalla Cina.

Dal suo avvicinamento e scambio con gli intellettuali cinesi, in impara ed assorbe la cultura antica della Cina, oltre a portare quella europea, Matteo Ricci si fa strada verso la capitale, alla corte dell'imperatore di Cina, dovealla fine riceve - primo nella storia registrata - l'onore di poter essere seppellito da straniero in terra cinese.

Il percorso di integrazione che viene raccontato diventa anche religioso dopo qualche tempo, permettendo un sincretismo necessario con le dottrine di Confucio (che parla solo della vita e del buon vivere, quindi niente di eretico o religioso).
Ovviamente si tratta di un mercato delle anime troppo grande e ricco per permettere uno scambio libero e civile, i cattolici iniziano a farsi concorrenza tra gesuiti, domenicani dal Portogallo e Francescani dalla Spagna. Il taglio rilassato impostato da Ricci viene bocciato come dannoso, e da Roma impongono una dottrina più integralista. Via Confucio, via il culto degli antenati, via il vivere pacificamente con taoisti e buddisti.
Dalle discordie nasce il sospetto, e quindi la chiusura totale ai cristiani per i 2 secoli successivi, tutto raso al suolo.

Il copione è sempre quello.

venerdì 28 marzo 2014

Né con te né senza di te - Paola Calvetti

Né con te né senza di te, journal.

La storia è semplice, lineare. Vera e Luca vengono trovati morti all'inizio del libro. Un omicidio suicidio senza una causa apparente, e noi ripercorriamo la loro relazione raccontata nel passato dalla stessa Vera, nel presente da Francesco, un suo amico che segue le indagini nel doppio ruolo di testimone e di giornalista.

Il romanzo non sarebbe neanche male, mi piace la narrazione in tempi diversi contemporaneamente, il fatto che sia contaminata da verbali, email, scritti dei personaggi. Fa molto atmosfera.

Il problema vero è che il vero protagonista non è uno dei personaggi. Il vero protagonista è l'autrice, Paola Calvetti (da ora, in breve, MestessaIoMe).

MestessaIoMe non perde occasione per far pesare la sua presenza. Stai per essere coinvolto in una scena? Ecco una mitragliata di ardite metafore.
Stai per farti delle domande, per capire davvero lo stato d'animo di un personaggio? MestessaIoMe ci propina proprio ora mezza pagina di riflessioni su come la luce della luna si rifletta sul budino alle pesche.

In uno qualsiasi degli articoli "6 suggerimenti per scrivere decentemente" o variazioni sul tema, uno dei consigli di base è "lascia che il lettore capisca spontaneamente quel che succede, non forzarlo ad assimilare pagine e pagine di dati e background in maniera innaturale".

MestessaIoMe ha un ego ed un bisogno di protagonismo che D'Annunzio sarebbe stato fiero di lei e forse un po' invidioso. Il suo editor deve aver avuto una gran paura di lei, per non tagliare metà del testo, per salvarlo!

domenica 23 marzo 2014

La briscola in cinque - Marco Malvaldi

Non avevo mai letto nulla di Malvaldi, ho provato ad andare per ordine, ma forse non è stata una grande scelta.

Il racconto si legge bene, è piacevole, la storia è ben strutturata ed il giallo è onesto, non nasconde nulla al lettore.

Le pecche:

Il pisano. Sento già troppo pisano nel mondo, doverlo leggere anche nei libri mi disturba un po'. Non è al livello dell'illeggibile Camilleri col siciliano, ma è comunque stonato. Non amo troppo i gialli "ambientati" ad ogni costo, mi piacciono i puzzle astratti.

L'eccessiva semplicità della storia. C'è un unico indizio, una caratteristica fisica che viene notata in maniera rimarcata in due soli personaggi. Di una di queste due si sospetta per tutto il libro, dell'altra no. Chissà dove si va a parare per il colpo di scena.

I poliziotti goffi ed un po' ingenui che senza l'aiuto dell'astuto protagonista riescono solo a fare danni e sono più interessati a nascondere la loro incapacità che a risolvere un caso? Neanche nelle peggiori soap italiane.

Però darei un'altra chance a Malvaldi, sembra aver avuto un grande successo, e non me la sento di giudicarlo solo in base al romanzo d'esordio.
L'idea di usare i vecchini al bar per sviluppare delle storie da giallo classico, senza tecnologia, mi sembra molto astuta ed azzeccata, penso ci sia molto molto potenziale.

giovedì 20 marzo 2014

Diario di Zlata - Zlata Filipović

Diario di Zlata, journal.

Questo libro è il diario di Zlata, una bambina bosniaca, una testimonianza diretta dalla Sarajevo assediata del '92-'93.

Mi aspettavo un po' di più, onestamente, da un diario infantile. O meglio, un po' meno retorica e piccoli temi e pensierini fintamente maturi su quanto sia sbagliata la guerra e buona la pace, tanto artificiosi e poco credibili sulla penna di una undicenne, ed un po' più testimonianze schiette sulla vita e sull'ambiente durante la guerra.

Viene presentato ovunque come una critica alla guerra di razza, ma il problema della convivenza tra mussulmani, cristiani, bosniaci, etc, viene appena accennato, neppure percepito da Zlata. Conosce queste differenze, ma le collega appena alle cause della guerra, ed in due anni di diario, apparentemente nessuno si è preso il disturbo di rassicurarla spiegandole cosa stesse succedendo.

Zlata viene paragonata da altri (e poi accetta questo paragone, pur sperando in una fine diversa) ad Anna Frank, ma la profondità che raggiunge nel suo diario non si avvicina nemmeno a quello di Anna Frank. Non cerca di capire le ragioni della guerra, quale sia il motore dietro a tutto quel che succede. È solo una lunga ripetizione di noia, luce/acqua/gas non regolari, lettere, compleanni, matrimoni e routine che vengono approssimate quanto meglio possibile nonostante la guerra in corso.
Il diario di una bambina che solo per caso si trova in mezzo ad un assedio, ma che viene quasi completamente schermata dai suoi aspetti peggiori grazie alle persone che la circondano.

Forse è una buona testimonianza da far leggere ad un bambino, ma poco di più.

martedì 18 marzo 2014

Nocturnes - Kazuo Ishiguro

Nocturnes, journal.

Non avevo mai letto nulla di Ishiguro, nonostante ne avessi sentito parlare più volte positivamente.
Mi aspettavo uno stile giapponese, frasi brevi ed incisive, personaggi che vivono rapidamente e che non devono giustificare se stessi. Ho trovato uno stile britannico che mi ha comunque soddisfatto.

Nocturnes è una raccolta di racconti, legati dal tema della musica, ma per come li ho percepiti sono più parte di una macrostoria, una analisi dell'autore. Presi singolarmente sono amari e tristi, restano incompiuti, le storie sono tronche e non soddisfano chi legge. Presi nel complesso hanno la struttura di una sinfonia (allegro, lento, minuetto, rapido, e poi ritorno al tema iniziale - letteralmente), con il grande tema della musica che domina, e tante piccole variazioni, la fama, il vendere la propria arte, la maturazione musicale che si intrecciano a piazze italiane, alberghi, ristoranti.
I personaggi tornano in diverse incarnazioni, a volte cambiando nome, a volte esplicitamente, come la moglie di Tony Gardner in luna di miele prima di essere lasciata per necessità di carriera, nel primo racconto, che ritroviamo poi in convalescenza da un intervento di chirurgia plastica per prepararsi al marito successivo.

Il racconto più toccante è quello finale, Cellists, l'incontro tra un giovane talento del violoncello, che si fa addestrare da una "virtuosa" del violoncello, che ha smesso prima ancora di imparare a suonare, per non contaminare il suo talento, preferendo non portarlo neppure alla luce per paura che maestri al di sotto delle sue abilità potessero rovinarlo.
L'ho trovato di una delicatezza e sensibilità incredibile, con uno sviluppo implicito dei personaggi, complessi, che non avrei quasi creduto possibile. Con una malinconia e dei rimpianti che vengono a galla a più riprese, senza mai essere visibili direttamente.

Gli altri racconti in sé sono tecnici, un po' scialbi, appena accettabili ed alcuni divertenti, se non si ha una grande sensibilità musicale, se non si vive jazz che costringe a sentirsi coinvolti. I drammi da musicista, drammi creativi, drammi economici, drammi sociali, difficilmente toccano il lettore.
I racconti in sequenza sono grandiosi e potenti.

Penso di aver capito per la prima volta la lezione di prima media sull'importanza del Macrotesto. Il macrotesto è quel che Kazuo Ishiguro fa in Nocturnes, quello che farà pensare a tanti "Era noioso, non succedeva nulla. Ma mi è piaciuto, anche se non so perché". Il perché è la sinfonia creata dal macrotesto.

venerdì 14 marzo 2014

Incubo a seimila metri - Richard Matheson

Matheson è Matheson, non lo si può contestare. I suoi racconti di orrore quotidiano hanno creato un intero genere. Niente mostri lontani, miti riscoperti, orrori antichi che si risvegliano. Sono racconti che vivono nei salotti, nei supermercati, nelle scuole.

Non ho mai apprezzato molto i racconti dell'orrore, non penso sia il formato adatto ad accumulare abbastanza tensione per fare un buon effetto, ma Matheson fa eccezione, gli basta davvero poco per creare un'atmosfera perfetta, per creare un contorno credibile per i personaggi ed iniziare a distorcere la realtà.

Ambientare l'orrore nel mondo reale, che viviamo ogni giorno, è un po' la firma di Matheson, ed è stato lui a lanciare questo stile che ora domina tutto il genere. I risultati sono incredibili. Dettagli apparentemente banali, un regalo, l'odore di una moglie che cambia senza una ragione, il frinire dei grilli, dei vicini rumorosi in maniera inopportuna, ognuno di questi diventa uno spunto perfetto per innestarci l'orrore quotidiano.

L'unica pecca è il (palese) ordine cronologico dei racconti, che anche se sarebbe apprezzabile in una raccolta completa di un autore, non lo è in una raccolta estemporanea.
Va bene leggere di uno scrittore in crisi creativa che accusa la moglie della sua mancanza di idee ed impazzisce poco alla volta per ragioni sovrannaturali, ma leggere due racconti consecutivi basati sulla stessa identica idea, anche se truccata differentemente, li rende meno godibili. Un po' di attenzione al macrotesto poteva fare una grande differenza.

Leggete i racconti in ordine casuale! Ma tenete comunque gli ultimi 4-5 da parte, sono i più brevi, densi ed entusiasmanti. Non ci sono eccessi gotici, introspettivi e fronzolosi nel linguaggio per cercare di rendere più psicotica e terrificante la narrazione, solo storia pura e semplice che fa paura per quel che racconta, non per come lo racconta.

lunedì 10 marzo 2014

Mutazione - Robert Silverberg

Mutazione mi ha davvero sorpreso. Conoscevo Robert Silverberg solo per qualche suo lavoro minore e non ho mai letto quelli che vengono considerati i suoi romanzi migliori e più maturi. Non mi aspettavo una grande lettura, solo un po' di intrattenimento, e sono felice di aver scoperto una piccola perla della fantascienza.

La storia è semplice, quasi classica.
Gundersen è l'ex amministratore di una colonia terrestre, che torna a visitare il "suo" mondo dopo un decennio dalla decolonizzazione, nella classica fase di transizione in cui si restituiscono i pianeti alle razze locali fin'ora sfruttate.

Il mondo di Belzagor sta violentemente tornando alla naturalità, e le due razze "dotate di anima" che lo popolano hanno ripreso i loro cicli di vita naturali. I Nildor sono la razza erbivora - simili ad elefanti cornuti - che abita la fascia tropicale, i Sulidor umanoidi carnivori di grandi dimensioni.

Gundersen cerca un modo per espiare le sue colpe di colonizzatore, che continuano a tormentarlo, lo fa immergendosi nella cultura Nildor, abbracciandone la religione, accettando che la tecnologia non sia l'unica via di progresso per una civiltà.

Il romanzo è un lungo pellegrinaggio durante il quale Gundersen affronta il suo passato e si purifica, fino a sottoporsi al rito della rinascita, in cui finalmente capisce e si unisce al mondo spirituale del pianeta.
Contrapposto a questo pellegrinaggio, c'è il viaggio dei turisti con cui Gundersen è arrivato sul pianeta, il cui percorso incrocia più volte, sentendosi ogni volta più distaccato e disgustato.

Il grande mistero che vorrebbe guidare la storia non è un grande mistero. Entro le prime due pagine, indizi sparsi fanno subito ripensare a "Neanche gli Dei", rivelandoci la spiegazione. Per fortuna si tratta solo di un MacGuffin, per parlarci con una insolita sensibilità della comunicazione tra colonizzatori e colonizzati, in particolare riguardo al rispetto religioso.

Le atmosfere sono quelle della fantascienza classica, rovine decadenti, donne bellissime in giardini perfetti ed isolati, umani deformi per la loro rinascita impura, umani ascesi, creature aliene in panorami davvero estranei all'immaginario che possiamo produrre usando riferimenti terrestri. L'intero pianeta costruito da Silverberg è intriso alternativamente ed ossessivamente di bellezza incredibile o incredibili orrori, spesso entrambi contemporaneamente.

venerdì 7 marzo 2014

La prateria del Giacinto - Charles Sealsfield

Uno strano racconto, La prateria del Giacinto. Un proto-western, scritto quando il far west lo stavano ancora vivendo di persona.

Charles Sealfield si divide tra l'Europa e l'America, ed è considerato un autore classico Tedesco, nonostante scrivesse prevalentemente in inglese e marginalmente in doppia lingua inglese/tedesco. La sua posizione di giornalista/reporter nel nuovo mondo, ad inizio 1800, gli ha permesso di raccontare la storia degli Stati Uniti da una prospettiva rara.

Le praterie del Giacinto è ambientato in un Texas ancora messicano, turbolento, in cui gli abitanti si preparano a combattere per dichiararsi indipendenti e fondare la Repubblica del Texas.

Metà della storia è una folle cavalcata del giovane Mr Morse nel deserto Texano, allo stesso tempo ricco di vita e di "isole" di vegetazioni, ma inospitale e privo di risorse per un viaggiatore inesperto, con come unici punti di riferimento, elementi del paesaggio onirici e poco affidabili.

La seconda parte racconta dell'incontro di Mr Morse con un fuorilegge con la coscienza sporca, che lo aiuta a riprendersi dagli stenti di fame e sete, e di come in cambio partecipi al suo particolare rito di espiazione, per una colpa che da troppo lo tormenta costringendolo ad orbitare attorno ad un particolare leccio, simbolo del suo peccato. (Charls Sealfield era prete, prima di emigrare, l'educazione gesuita ha lasciato molte tracce nei temi di cui parla).

È caratteristico il modo in cui viene trattata la giustizia, il rispetto di fondo, per cui prima di esserci giudici, giuria ed accusato, ci sono del texani che combattono per il loro paese, solo come secondo criterio ci sono le colpe personali. Si percepisce un senso di rispetto per l'accusato che desidera cambiare ed è onestamente pentito, che è incredibilmente raro, nella giustizia moderna, quella che viene raccontata, perlomeno. Non ci si affida ad un potere politico centrale, è una giustizia di prima mano in cui sono coinvolti solo uomini pari tra loro e Dio.

martedì 4 marzo 2014

Foglie Morte - Gabriel García Márquez

Foglie morte, journal.

Un romanzo d'esordio per Marquez che lascia senza fiato, per la tecnica, per la tensione, per le sue atmosfere tipiche che ci sono da subito, senza mezze misure.

Siamo a Macondo, il paese di Cent'anni di Solitudine, prima che iniziasse la saga della famiglia Buendía.

La storia inizia con la morte e la veglia funebre di un vecchio medico, isolato dal mondo da molti anni. Gli unici a partecipare sono i tre membri di una famiglia, un anziano colonnello, sua figlia e suo nipote. Sono questi tre, alla veglia, a ripercorrere con le memorie la strana storia di come il medico sia finito a Macondo, di come abbia interagito con la loro famiglia e di come abbia finito la sua esistenza da eremita solo ed odiato da tutto il paese.

Non è all'altezza delle produzioni successive di Marquez, ma i suoi grandi temi, la vita di paese, la solitudine, il realismo magico, ci sono già tutti, e stupiscono allo stesso modo ogni volta.

Molto particolare e che non ricordo in nessun altro romanzo di Marquez, è usare la ripetizione per creare una atmosfera surreale. Nei dialoghi dei personaggi, nelle descrizioni, nelle scene rivissute più volte senza uno stacco netto attraverso gli occhi di più narratori.

Un grande ritrovamento!

domenica 2 marzo 2014

Il palio delle contrade morte - Fruttero & Lucentini

Il palio delle contrade morte, journal.

Stimo molto Fruttero e Lucentini, ma Il palio delle contrade morte è una grande enorme delusione.
Questo libro è poco inquadrabile, lo stile è onirico e confuso, ma la storia si rivela essere una via di mezzo tra una guida turistica per il palio di Siena ed un giallo.
L'idea della trama è notevole e promettente: a Siena esistono sei contrade morte, la cui area urbana è stata smembrata qualche secolo fa e divisa tra le 17 contrade sopravvissute. Queste contrade morte sono tradizionalmente rappresentate durante il palio da sei cavalieri a volto coperto.

In questo romanzo, la coppia di protagonisti, corrotta e manipolata da sei personaggi ambigui ed impenetrabili, è spettatrice - in una casa isolata di campagna - dell'uccisione di un fantino del palio, [[[che i rappresentanti delle contrade morte vogliono che corra per loro, perché anche se invisibili hanno continuato a correre insieme a tutti gli altri partecipanti, anno dopo anno.]]]

Questa idea, di base, mi sembra veramente bella e potente, ma è stata sviluppata con uno stile terrificante. Il racconto salta tra lo svolgimento della corsa e gli avvenimenti di qualche giorno prima nella villa in campagna, ma tutta la parte della corsa sembra un copiaincolla da wikipedia, se ci fosse stata wikipedia all'epoca, con lunghe spiegazioni tecniche e fronzolose, annotazioni storiche, dettagli che appesantiscono la storia. Letteralmente in questa linea temporale, non succede niente di niente, mentre l'altra è solo incredibilmente prolissa. Circa due terzi del libro un buon editor li taglierebbe senza pietà, a maggior ragione quindi mi stupisco che Fruttero e Lucentini non se ne siano resi conto!

Altra nota dolente: abuso di parentesi, parentesi ovunque, ossessivamente, nei lunghi monologhi interiori ripetitivi, una riga nei momenti fortunati. Come se già la narrazione non fosse lenta e straziante, parentesi che la rallentano ulteriormente, che complicano lunghi ed intricati paragrafi senza uno scopo preciso.

Non leggete questo libro. Solo se siete grandi fan degli autori e volete poter dire di aver letto tutto quel che hanno prodotto, ma anche in quel caso, sappiate che ci resterete molto molto male!

sabato 1 marzo 2014

La patente rivelatrice - Jane Lester

La patente rivelatrice, journal.

Forse il libro più brutto che il mondo abbia mai prodotto.

Sembra essere stato scritto ignorando ogni buon costume narrativo, punti di vista incoerenti, trama che un generatore casuale di trame può fare molto di meglio. Personaggi schizofrenici, colpi di scena che vengono così tanto telefonati ed attesi da quasi fare il giro e tornare ad essere inaspettati.

La storia: Claudia ha un incidente in cui muore tutta la sua famiglia, ma si riprende e si ricorda la faccia della ragazza che le è venuta addosso con l'auto.
Il suo medico le offre un lavoro come "dama da compagnia" per Gillian, una ragazza che ha avuto un incidente ed ha perso la memoria. Claudia accetta.
Sorpresa,  Gillian è la ragazza che le era venuta addosso in auto!
Ma non può essere lei, perché lo zio morto, nel testamento, le ha proibito di prendere la patente.
Vive in una grande casa con tanti parenti che si odiano a vicenda, perché lo zio morto, nel testamento, ha imposto che ci vivessero per avere l'eredità.
Gillian deve sposare Joe, perché lo zio morto, nel testamento, le ha imposto questa condizione per ereditare.
E non può vedere i suoi amici perché lo zio morto, nel testamento,  le ha proibito le cattive frequentazioni.

Insomma, ha uno zio impiccione il cui testamento sembra essere creato apposta per creare l'ambientazione.

Altra nota comica sono i punti di vista. Nel tentativo di narrare tutto dal punto di vista di Claudia, l'autrice usa degli escamotage improbabili per farle avere le informazioni utili alla storia.
"Un contadino ha osservato la scena con un telescopio",
"una persona era nascosta nell'ombra" - a mezzogiorno in una stanza semivuota,
"c'era un bambino seduto sul sedile posteriore dell'auto sotto ad una coperta, che però non è morto nell'incidente perché è rotolato fuori dall'auto all'ultimo",
"la madre di un contadino ha visto Gillian e l'ha seguita".

Alla fine tutti si innamorano di tutti e cambiano idea, chi odiava Claudia muore in maniera ridicola ed improbabile. I piani dei cattivi farebbero ridere persino i cattivi Disney per quanto sono inefficaci, la soluzione del mistero è il titolo del libro (wow, sorpresona!), e tutte le coppie possibili si sposano, poco dopo ad una moria massiccia di parenti, che sensibilità.

L'unico motivo per cui potrei suggerire di leggere questo libro, è se siete scrittori in cerca di autostima, in questo caso sarebbe perfetto per sentirvi istantaneamente dei semidei della letteratura.