Supremamente ottuso è per Bernhard il mondo dei premi letterari, di cui traccia un ritratto insieme crudele e divertentissimo, senza risparmiare frecciate a nessuno, neanche a se stesso: «Tutto era repellente, ma più repellente di tutto trovavo me stesso» dice a proposito del premio Franz Theodor Csokor. Al grottesco balletto prendono parte stolidi largitori e beneficati vanesi; ministre che russano durante i panegirici per poi risvegliarsi di botto sbraitando imperiose: «Ma dove si è cacciato il nostro scrittorello?»; conferitori di attestati e di prebende che, scambiando il sesso dei poeti laureandi, parlano con disinvoltura della «signora Bernhard»; politici opportunisti e di abissale ignoranza preoccupati solo di fare passerella; giurie letterarie insipienti ma ben liete di trasferirsi, spesate di tutto, nei migliori alberghi e ristoranti; finanziatori che con un esborso spudoratamente basso si assicurano pubblicità a buon mercato e una fama di generosi mecenati; e grossolani esponenti dell’industria che presentandolo parlano diffusamente dello «straniero nato in Olanda», il quale però «già da qualche tempo vive tra noi», e al quale attribuiscono senza fare una piega un fantomatico romanzo ambientato in un’isola del Sud. «Se qualcuno offre del denaro vuol dire che ne ha ed è giusto alleggerirlo» pensa tuttavia Bernhard, e non nega affatto di averlo speso volentieri, soprattutto se gli ha dato l’occasione per comprarsi finalmente una Triumph Herald.È strano avvicinarsi a un autore non tramite una sua opera, un romanzo, dei racconti, ma a una piccola raccolta di spaccati autobiografici sui premi letterari da lui ricevuti e accettati. È un modo meta e piacevole per scoprire cosa la critica e i colleghi letterati pensavano di lui quando era in attività, quali scandali (ormai passati e irrilevanti) ha vissuto, cosa l'ha guidato nelle grandi scelte.
Ammetto che questi piccoli siparietti dall'aria in parte comica, in parte triste e sconsolata nei confronti dell'ambiente letterario, che sembra essere sempre immutabile e involuto in sé stesso in ogni epoca e in ogni luoco, mi hanno reso Thomas Bernhard simpatico e attraente, per il suo senso morale e per il suo approccio al mondo.
Per ogni premio che descrive, a parte poche eccezioni, passa da alcuni stadi di "elaborazione del premio" che sono perfettamente comprensibili e condivisibili.
Non voglio il premio, dovrei vedere gente spiacevole.
Mi danno dei soldi, però.
Prendo il premio per i soldi.
Devo scrivere un discorso, non ho idee.
Lo faccio domani.
Il discorso è tra mezz'ora, invento qualcosa.
Il mio discorso delude la folla.
Ho dei soldi, questa volta non li spreco.
Oooh, un'automobile/casa/altro lo compro.
Non ho soldi.
Il tutto ripetuto fino alla decisione drastica, una volta affermato come scrittore e senza più bisogno dei vari premi, di rifiutare qualsiasi riconoscimento da parte di associazioni o simili.
Nel frattempo, Bernhard ci parla della relazione con quella che chiama "zia", e che in altre opere definisce con un suo neologismo Lebensmensch, la persona più importante della sua vita, che lo accompagna e guida lungo il percorso di vita e letterario. Ci parla dei suoi romanzi e del suo rapporto con editor ed editori. Ci parla della sua infanzia e delle ripercussioni che ha avuto sul suo lavoro.
La versione di Ad alta voce di I miei premi non è eccelsa, al contrario di buona parte dei loro adattamenti ad audiolibri. Troppa musica riempitivo e scelta con dei criteri dubbi. Saltare da discorsi filosofici alla musica techno una volta può funzionare, due volte si tollera, di più disturba solo. L'abituale musica classica come inframezzo/riempitivo forse non piace a tutti, ma è sicuramente una scelta più sicura e solida per un programma culturale.
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