lunedì 9 giugno 2014

La carta più alta - Marco Malvaldi

Torniamo nel BarLume per il quarto caso del nostro barrista (sic) Massimo e dei suoi vecchini di fiducia.

Dopo un omicidio classico ed esplicito, un omicidio mascherato da incidente, un omicidio che proprio omicidio non era, dobbiamo iniziare a spulciare la nostra raccolta di Agatha Christie per controllare quali altre strutture abbia inventato. Ah, ecco! il Cold case! Il caso da lungo archiviato che per ragioni più o meno banali viene riaperto, e grazie ad una serie di coincidenze ed intuizioni viene completamente reinterpretato!

Ancora di più in questo quarto libro, la trama si sarebbe adattata meglio ad un racconto lungo. Il tipo di struttura l'avrei visto benissimo applicato ad un racconto dei Vedovi Neri di Asimov, con un ospite che racconta il suo caso e tutti i dettagli che conosce, una successiva analisi per esclusione fatta durante il pasto e quindi il fidato Henry che ha l'idea geniale ma meno intuitiva che spiega tutto razionalmente e può essere verificata da una singola informazione, ottenuta con una telefonata. La struttura è esattamente quella, ma raccontata con molte più energie sprecate, con forzature come l'incidente di Massimo che non ha alcun ruolo a parte metterlo con una scusa in ospedale per un paio di settimane sotto le cure - toh, che caso - del medico che poteva aiutarlo con una serie di informazioni essenziali (non si fa, non si fa!)

Almeno la qualità dei dialoghi dei vecchini pisani, che esistono solo per fare ambientazione locale ed ispirare simpatia ai lettori pisani, sono migliorate di qualità. Mi immagino Malvaldi appostato con dei baffi finti e degli occhiali scuri in un angolo della Tazza d'Oro, con un taccuino su cui annotare ogni commento salace urlato con la discrezione del posto.

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