martedì 22 aprile 2014

Una peccatrice - Giovanni Verga

Non sono un fan di Verga, ma ogni tanto ti capita in mano un libro e non puoi fare a meno di leggerlo, per qualche ragione.

La storia di Una peccatrice è classica e semplice, Pietro si innamora di Narcisa, Narcisa non lo vuole, è sposata, lo rifiuta sdegnosamente. Pietro scrive un dramma dal successo esplosivo, Narcisa lo vuole. Pietro smette di amarla, Narcisa si uccide, lui diventa mediocre senza ispirazione.

Ora, non ci sarebbe niente di male in questa storia, i personaggi sono scolpiti molto bene nel primo terzo di libro (compreso un amico di Pietro col suo ruolo, seppur sparisca senza preavviso ad un certo punto), ognuno con le sue passioni, fissazioni, famiglie. Ma Verga (avevo dimenticato) ha un terribile feticcio per "i vinti", quindi anche se i brani di storia positiva, di evoluzione dei personaggi, di crescita, sono spigliati, piacevoli, scritti in maniera incredibile, tutto si dimentica alle 5 pagine di precisa descrizione della depressione, lacrime e angoscia di vivere, descritte in ogni scricchiolio del pavimento o ronzare di mosca, che a saperlo fare bene magari si diventa maestri di genere, ma in questo caso è solo sofferenza per il lettore...

Lo stile vorrebbe essere impersonale, e ci riesce quasi fino alla fine, ma poi no, Verga crolla. "Non posso descrivere abbastanza bene le sofferenze, con questa prosa impersonale!" ed ecco arrivare una lettera lunga un terzo dell'intero romanzo in cui Narcisa in prima persona ed in maniera oscenamente poco realistica per una lettera, spiega quanto soffra perché Pietro si allontana da lei e descrive in ogni dettaglio (che neanche le amiche in un flick chick l'avrebbero tollerata) cosa è successo, l'inflessione della sua voce, come abbia voluto uscire di casa quel giorno e delle ragioni nascoste per cui forse ha voluto uscire.

Le opere giovanili forse le chiamano così per una ragione, dovrebbero avere il bollino rosso con le indicazioni d'uso!

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