Tre atti e due tempi, journal.
Una storia vagamente improbabile, che sembra un po' a quelle trame dei film per bambini degli anni '90, con adulti ingenui ed un po' creduloni e con i piani del buono che se incontrano un intoppo è solo per farlo sembrare ancora più intelligente. Sembra quasi che le scelte che sciolgono i problemi dei personaggi siano state dettate da una mancanza di idee originali, creando un grande pastone di cliché comico-cinematografici da commedia dell'equivoco, molto poco adatti al pubblico che ha imparato ad apprezzare Faletti ed il suo stile.
Silvano è un ex pugile con una carriera rovinata a causa di uno scandalo per delle scommesse su un incontro truccato, che vuole evitare che il figlio calciatore commetta lo stesso errore, trascinato dagli stessi cattivi soggetti che avevano incastrato lui.
Faletti per sua stessa ammissione, scrive questo romanzo ad ambientazione calcistica senza saperne troppo di calcio. Non pensavo fosse davvero un problema per uno scrittore arrangiarsi, inventare e scrivere di un argomento estraneo, fin'ora, ma si sente davvero molto in Tre atti e due tempi.
I capitoli ambientati nel passato, che raccontano la vita di Silvano, il suo avvicinarsi al pugilato e la sua carriera, sono appassionanti, delicati e profondi. Faletti sembra molto più legato a questo ambiente, come se desiderasse parlarne di più ma si fosse intestardito su una ambientazione che gli è ostile. Questi capitoli finiscono per sottolineare ancora di più la storia un po' grottesca ed improbabile che ci presenta la storia, nel presente.
In molti commenti che ho letto, Silvano-Silver viene definito un antieroe, ma penso si sbaglino. Silvano entra in scena già redento, già legale, già perfettamente a suo agio e pronto a "tradire" il figlio pur di non fargli commettere un reato. Posso concedere al massimo un antieroe dal punto di vista famigliare, ma anche lì cerca sempre di muoversi alla ricerca di un'espiazione.
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